L’importanza della Psicoterapia di gruppo nella società liquida post-moderna

“La malattia mentale, alla sua vera radice, ha un disturbo di integrazione entro la comunità, un disturbo di comunicazione” (Foulkes, 1964). A partire da queste parole Foulkes illustra come, molti anni in anticipo rispetto alla società post-moderna, la psicopatologia acquisisce il suo vero senso a partire dal contesto familiare e sociale in cui nasce, diventando cosi superata una “semplice” visione della sofferenza umana in termini intrapsichici ed individualistici del solo mondo interno del paziente.

Il lavoro di Foulkes si fonda quindi sulla convinzione che la personalità individuale derivi da un processo di sviluppo che si verifica all’interno della collettività, e che il carattere sociale dell’uomo debba essere riconosciuto come fattore primario irriducibile. Se la personalità di ogni uomo prende forma all’interno di processi di comunicazione sociale, le nevrosi e gli altri disturbi psichici vanno considerati come fenomeni multipersonali che devono essere trattati con un metodo che tenga conto della rete dei rapporti interpersonali. Nella visione di Foulkes gli individui fanno dunque parte di una serie di reti sociali che, in qualche maniera, determinano i processi di sviluppo e di comunicazione ed influenzano le esperienze ed i comportamenti. La parte più intima della rete totale di una persona viene denominata plexus, che solitamente è formato dal nucleo familiare originario e da un numero limitato di altre persone significative. Il sintomo individuale, in questa visione, rappresenta l’espressione di un disturbo nell’equilibrio del plexus di cui il portatore del sintomo fa parte.

Foulkes, dunque, fonda un nuovo approccio alla sofferenza psicologica, riconoscendone per la prima volta il carattere multipersonale: essa si svilupperebbe da un complesso di relazioni inter e transpersonali piuttosto che da un nodo patologico individuale e nascosto nella psiche umana. La famiglia, come il gruppo, è la matrice della vita mentale dell’individuo: essa da un lato consente ed assicura lo sviluppo del soggetto, dall’altra deve lasciare spazi di apertura verso nuove significazioni della propria esistenza.

E’ importante sottolineare come la teoria di Foulkes presenti molte analogie con quella del sociologo Zygmunt Bauman secondo il quale la società globale, tardo-capitalistica e liberaldemocratica, promette di esaltare l’autonomia e la libertà degli individui, ma di fatto ne accentua la “solitudine” attraverso una progressiva privatizzazione dell’esistenza sociale e una dissoluzione di valori ed ideali. La “modernità solida” si basa infatti sulla produzione e sulla durevolezza dei beni, quella “liquida” sul consumismo. La relazione tra bisogni, produzione e consumo risulta così invertita rispetto alla “società dei produttori”: sono le esigenze dei meccanismi consumistici a dettare bisogni ed esigenze degli individui, e non viceversa. La perdita di senso del tempo, tipica della condizione umana nella “modernità liquida”, è uno degli aspetti fondamentali dello scenario nel quale Bauman vede persone e gruppi sociali muoversi in un dinamismo frenetico che travolge ogni dimensione della vita.

L’individuo così rappresentato, è un soggetto in completa “solitudine esistenziale”, in balìa di forze che non solo non può controllare, ma non riesce neppure a comprendere. Nella modernità liquida, è il consumo la priorità di ogni individuo, e principalmente il consumo/acquisto di identità personali attraverso l’identificazione. La stessa vita sentimentale, il rapporto con il corpo e le relazioni umane sono piegate a questa logica. Il senso d’appartenere ad una comunità rappresenta l’unico modo, oggi, per sfuggire alla liquidità del vivere odierno.

Nella società liquida prevalgono quindi la “cultura dell’adesso” e “cultura della fretta” che insieme mettono in crisi anche le dimensioni costitutive più intime della personalità e del comportamento, come le aspirazioni e le potenzialità di costruirsi persone, cioè soggetti capaci di pensare, di aderire a principi e obiettivi di autoregolazione e soddisfazione, di instaurare relazioni interpersonali gratificanti e portatrici di un equilibrio emotivo non effimero. Il senso di insoddisfazione e di incertezza che consegue ad uno scenario di vita consumistico e competitivo, dove “per occupare la scena bisogna cacciare via gli altri”, ha indotto Bauman a ribadire che “siamo condannati a vivere in un’incertezza permanente”, che è causa ed effetto di precarietà emozionale e instabilità relazionale e valoriale. Così l’uomo moderno vive una permanente condizione di emergenza, di perenne movimento e apprendimento.

Ma, scrive Bauman, (2002) “la vita dedita al consumo è una vita di rapido apprendimento e fulmineo oblio” per cui il paradosso della società dei consumi è che, mentre sembra fondarsi sul presupposto della ricerca della soddisfazione dei bisogni, in realtà per non morire essa ha bisogno della perenne insoddisfazione: non si può essere veramente mai soddisfatti per continuare a cercare una nuova moda e una nuova stagione.

In questa società si ha bisogno non solo di produrre e acquisire, ma di smaltire e ricominciare dall’inizio e di conseguenza chi è contento è un consumatore imperfetto e deve diventare dunque un emarginato sociale.

Tornando a Foulkes possiamo intravedere oggi una soluzione alla corsa della società post-moderna nella psicoterapia di gruppo: il gruppo è qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri, in quanto possiede una struttura propria, fini peculiari e relazioni particolari al suo interno. E’ attraverso questa visione del gruppo che Foulkes ed altri studiosi colgono e sottolineano la grande portata sociale e terapeutica della psicoterapia di gruppo per gli individui, che si sentono restituiti i loro bisogni, le aspettative e i desideri nella loro modalità più autentica.

All’interno di un gruppo terapeutico si stabiliscono legami soggetti a un cambiamento che derivano da una interferenza fra le condizioni individuali, caratteristiche di ciascun partecipante, e quelle gruppali, dovute alle interazioni sociali e alle percezioni interpersonali. Quindi il gruppo è uno “spazio sociale” che favorisce lo sviluppo delle relazioni fra gli individui che ne fanno parte e facilita la nascita dei legami identificativi ed individuativi; genera, inoltre, la creazione di una cultura e di una affettività comuni che nel tempo tendono ad essere condivise, a stabilizzarsi e ad essere interiorizzate.

L’atmosfera del gruppo e delle relazioni interpersonali che la costituiscono sono importanti non solo per il cambiamento della percezione del proprio Sé ma anche per il fatto che dallo scambio relazionale tra i membri del gruppo si struttura l’identità del gruppo nella quale i singoli membri si riconoscono. Il libero fluire della comunicazione in un clima psicologico di sicurezza favorisce quel feedback che permette a ogni membro di venire a sapere come egli appare agli altri e quale impatto ha sui rapporti interpersonali, nonché l’accettazione dei propri sentimenti proibiti i quali possono diventare legittimi e liberatori quando si vede che sono anche altre persone ad esprimerli.

Il gruppo è anche “un’organizzazione mentale”, un operatore psichico, un sentimento di appartenenza, un vissuto, e insieme a tutto ciò, anche un complesso reticolo di interazioni e relazioni psichiche osservabili dal punto di vista fenomenologico. Infatti il gruppo sviluppa nel tempo una storia condivisa, producendo una catena associativa che fa da ponte tra il qui ed ora dello spazio mentale comune e la riattualizzazione delle memorie di base dell’individuo. Connettendo tra loro, in modo fecondo, diversi stati mentali soggettivi che interagiscono all’interno del gruppo, il gruppo stesso può trasformarli in approdi psichici collettivi più organizzati. (Bion, 1961, Neri, 1993).

Spesso l’individuo e il sociale, sia nella teoria che nella tecnica terapeutica, appaiono separati e sembra che il sociale “penetri” l’individuo piuttosto che essere una parte strutturale del mondo psichico e quindi essere oggetto di analisi. Il sociale entra in gioco solo come forma di adattamento. In buona sostanza nasciamo come esseri sociali e relazionali (Mitchell, 2002) e le menti individuali si formano per mezzo dell’interiorizzazione dei campi interpersonali.

Le relazioni oggettuali sono un residuo, all’interno della mente, delle relazioni significative avvenute durante lo sviluppo, che strettamente intrecciate con l’esperienza di ciascuno, svolgono la funzione di una immagine anticipatoria di ciò che ci si può aspettare nel mondo reale modellando relazioni, percezioni e atteggiamenti.

Il mondo interno, quindi, si forma ed assume un significato rispetto alle relazioni oggettuali interiorizzate ed in base a queste si “relaziona” con il mondo esterno, facendo si che l’esperienza esterna si forma dalla centralità della dimensione interna creando un circuito riverberante, relazionale e intersoggettivo.

Lo stesso capita tra individuo e gruppo, in costante relazione dinamica e reciproca: il gruppo “contiene” l’individuo e le relazioni che questi instaura all’interno del gruppo stesso, mentre l’individuo “contiene” dentro di sé un’immagine mentale relazionale del gruppo.

La socializzazione è perciò una caratteristica ontologica, connaturata alla condizione umana. A partire dalla relazione con la madre, la persona arriva a strutturare la sua identità ed individualità che poi gli permetterà la relazione con “l’Altro da sé”. In questo percorso si sviluppa la consapevolezza della similarità e della differenza. Gli aspetti di similarità permettono, nell’interazione, sia il reciproco riconoscimento e la partecipazione ai medesimi canali di comunicazione, sia la costruzione comune e partecipata di uno spazio di incontro. La differenza definisce le diverse identità con le dinamiche relazionali e gli affetti che in esse si generano.

Attualmente contro lo psicobiologismo individualistico si è sviluppata una nuova tradizione che concepisce la mente come irriducibilmente “essere in relazione con”, per la quale l’identità dell’uomo si caratterizza fin dalle sue origini per la sua culturalità, per l’insediamento cioè di segmenti relazionali dell’ambiente che comunque riguardano l’individuo che in quell’ambiente nasce e si va esprimendo. L’identità individuale si compone quindi di relazioni interiorizzate che nel loro complesso costituiscono una gruppalità interna.

L’inconscio non è più quindi il luogo delle pulsioni, ma un posto “affollato” di relazioni storicamente e gruppalmente presenti nel singolo. Queste relazioni sono storiche ma anche ovviamente frutto del modo in cui sono vissute e riconcepite; non fantasmi, pulsioni, strutture, che rimandano ad una concezione che vede l’individuo come qualcosa di isolato che al massimo proietta parti di sé ed introietta quelle altrui. La vita psichica è invece sin dall’inizio un fatto relazionale e ciò vale anche per il mondo interno dell’individuo.

E’ su questa interazione dinamica e su questi affetti che il gruppo lavora per trovare quelle che sono le credenze relative ad essi e sfatarle, per evidenziare i copioni che si ripetono senza la consapevolezza dell’individuo e svelarli, rendendo possibile, costruttiva ed espressiva la permanenza di ogni singolo nello spazio terapeutico. La dimensione sociale ed analitica del gruppo diviene, così, possibilità di favorire lo sviluppo dell’identità personale secondo una grammatica che ricolloca i singoli nel loro tempo e nel loro spazio attraverso la definizione di significati e strutture del Sé più consapevoli ed evolute.