Sintesi dell’articolo scritto da S. H. Foulkes pubblicato sul “Journal of Contemporary Psychotherapy” (1974) curata da Roberto Karra.
Nella mia pratica personale di Psicoanalista sono diventato, nel corso degli ultimi venti anni, leggermente più attivo, personale e deliberato; terapeuticamente ho trovato questo metodo più efficace.
Il mio interesse nel metodo e nella teoria della Psicoterapia Gruppoanalitica mi ha condotto a vedute del tutto nuove riguardanti l’intera psicopatologia e psicoterapia, inclusa la psicoanalisi; più recentemente la psicoanalisi si è mossa in direzioni simili, sebbene lentamente, e probabilmente continuerà a farlo.
La psicoanalisi è indispensabile come metodo di training, ma non è, tutto sommato, il miglior metodo di psicoterapia. La Gruppoanalisi è molto superiore come forma di psicoterapia ed il metodo migliore per studiare la teoria della psicoterapia; l’esperienza personale con essa come paziente , è indispensabile per il futuro Gruppoanalista.
La Psicoterapia riguarda sempre la persona intera: l’essere umano è un animale sociale, non può vivere in isolamento. Per vederlo nella sua interezza bisogna vederlo in gruppo, in quello in cui vive ed in cui sorgono i suoi conflitti, oppure, al contrario, in un gruppo di estranei in cui può ristabilire i suoi conflitti in cultura pura. Il gruppo è il background, al contrario della psicoanalisi che vede nell’individuo isolato il background.
Quest’ultima dà rilievo a processi che emanano dal corpo e a quelli che risultano dalla precipitazione delle prime relazioni oggettuali o da proibizioni e tabù ereditati. Il paziente arriva a conoscere il significato di tutto ciò che lo riguarda nei termini dei propri desideri, paure, fantasie come fonte primaria. Questa veduta inevitabilmente sostiene l’idea dell’individuo come unità elementare che deve formare relazioni con gli altri in modo indiretto e spesso molto complicato. E’ costretto a fare ciò dai suoi bisogni, per i quali gli altri sono “oggetti”. Poiché ognuno di noi ha il proprio corpo, i propri occhi, il proprio cervello, così ha la propria mente: la mente è dentro di noi , ogni altra cosa è al di fuori.
Le scoperte fondamentali che dobbiamo a questo modo psicoanalitico di vedere noi stessi sono la sessualità infantile, i processi inconsci ed il transfert. Le possibilità di pensare in termini di un Io inconscio, di un Super-io, carico di energie distruttive e di meccanismi di difesa inconsci è di valore inestimabile per tutte le psicoterapie.
Il transfert è la forza motrice in psicoterapia. Ha una qualità quasi magica, in quanto è più intensa di qualsiasi altra relazione. Varia non solo secondo il metodo usato ma anche secondo la persona dell’analista.
Può essere d’aiuto condurre le nostre analisi con la convinzione che la vita contiene piacere e soddisfazioni grandi e profonde, ma inevitabilmente gravate della sofferenza. Lo scopo di una vera analisi dovrebbe essere per il paziente quello di essere più capace di evitare sofferenze non necessarie, di evitare di creare più sofferenza con l’aggiungere la propria autotortura alle sue sfortune.
Quando guardiamo seriamente al gruppo come quadro essenziale di riferimento in psicologia, comprendiamo che l’individuo è inevitabilmente un frammento modellato dinamicamente dal primo gruppo in cui è cresciuto.
La maniera migliore che mi viene in mente per illustrare la mia immagine dell’individuo, a questo proposito, è quella di un pezzo di puzzle in isolamento; immagino che questo sia tridimensionale ed in costante interazione con gli altri pezzi. Quando si porta questo frammento individuale fuori dal suo contesto, esso viene formato o deformato a seconda del posto e delle esperienze fatte in questo nuovo gruppo.
Il primo gruppo è normalmente la famiglia, questa famiglia, volente o nolente, riflette la cultura a cui appartiene e, a sua volta, trasmette le norme e i valori culturali: lo sviluppo dell’individuo è una storia che comincia da prima della nascita. Lo sviluppo libidico, il suo culmine nel complesso infantile di Edipo nel senso classico, i vari meccanismi di difesa adatti alle varie fasi sono fuori discussione, sebbene io pensi che anche le fasi libidiche e le reazioni alle funzioni corporee siano culturalmente condizionate.
Vedo pertanto i problemi umani basilari di cui si occupa tanto la psicoanalisi come più trasmessi che ereditati, sebbene le due cose non siano mai separate. Emozioni complicate possono essere provate dal bambino piccolo poiché esse sono in realtà rappresentate e trasmesse, in ogni caso inconsciamente, da genitori, fratelli, sorelle e cosi via. Queste norme e valori sono impresse nell’individuo, formano il suo Io e il suo Super-io sin dall’inizio e sono di una forza incredibile. Credo che i meccanismi psicotici operino in tutti noi e che i meccanismi e le difese simil-psicotiche si producano molto precocemente.
Indubbiamente la persona che sviluppa successivamente una psicosi è anche condizionata dal suo gruppo iniziale e viceversa. In un certo senso si potrebbe dire che la norma sia di per sé psicotica.
Voglio dire quindi che condividiamo con la nostra cultura alcuni assunti totalmente “folli” che passano per “normali”, come nella psicosi l’Io prende il posto di queste credenze e abitudini.
Nel gruppo gruppoanalitico la famiglia originaria è rappresentata tramite il transfert, il gruppo culturale tramite la matrice, in quanto è condivisa e da condividere “la matrice di base”.
La rete operativa è il gruppo stesso da trattare; “la matrice dinamica” si sviluppa col progresso del trattamento.
Quando passiamo dalla situazione psicoanalitica tradizionale (terapeuta e paziente) a quella di gruppo, usciamo fuori da una delle necessarie precondizioni della tecnica psicoanalitica, cioè il completo isolamento del paziente, cosicchè analizziamo questo paziente solo in relazione a noi. Quando ci spostiamo quindi dalla situazione psicoanalitica a quella gruppoanalitica tutto appartiene in questo gruppo al gruppo ed i membri non dovrebbero avere nessun contatto all’esterno.
Nel trattare l’uomo come essere sociale in un contesto sociale siamo costretti a rivedere concetti di larga portata come: cosa è un individuo? Cosa è la mente?
Deve essere chiaro che non penso che la mente sia basicamente dentro la persona come individuo; la mente che abitualmente è considerata intrapsichica è una proprietà del gruppo e i processi che hanno luogo sono dovuti alle interazioni dinamiche in questa matrice di comunicazione. Corrispondentemente non possiamo fare l’acuta convenzionale differenziazione tra interno ed esterno o tra fantasia e realtà.
Penso che la natura reale della mente stia nel bisogno di ciascun individuo di comunicare e ricevere, in tutti i sensi; il linguaggio non potrebbe essere acquisito da ogni individuo senza che questi abbia la capacità di acquisirlo nel suo cervello. Per quanto sia il proprio pensiero, sia ciò che sta nella propria mente, nello stesso tempo è una proprietà condivisa dal gruppo e l’individuo è costretto ad essa sin dall’inizio della cultura circostante.
Se si è consapevoli di quanto vada in profondità e sia decisiva l’influenza di una cultura particolare, e nello specifico la cultura familiare sulla nostra struttura totale questo ci sorprende di meno. La mente è condivisa come il sociale, non all’esterno ma anche profondamente all’interno delle persone.
Il vero terapeuta ha, credo, una funzione creativa: come un artista, come uno scienziato, come un educatore; se può evitare di educare le persone a propria immagine, sarà capace di aiutarle creativamente a diventare se stesse, a condurle ad una vita più piena, ad usare la felicità e ad evitare di aggiungere ulteriori sofferenze alle proprie miserie.
C’è una grande soddisfazione in questa parte creativa della nostra funzione; ho paragonato più volte questa funzione a quella di un poeta, specialmente nel condurre un gruppo. Mi riferisco alla recettività del terapeuta, alla sua abilità di vedere un po’ meglio, più in profondità e prima degli altri, cosa i pazienti stiano realmente dicendo, cosa vogliano e di cosa hanno paura, nell’aiutarli ad esprimere tutte queste cose e talora ad esprimerle per loro.
L’allusione al conduttore musicale serve a differenziare la nostra funzione da quella del leader.
Siamo coinvolti molto più di quanto realmente pensiamo con l’empatia; con questa capacità e con la maturità possiamo conservare un certo distacco necessario; le due cose non sono in opposizione tra di loro.
Il buon terapeuta dovrebbe allo stesso tempo essere al di sopra della situazione; questo atteggiamento renderà più facile vedere sia la tragedia che la commedia dell’esistenza umana e vederne l’assurdità in certi aspetti.
In questo modo il nostro lavoro diviene più interessante, più soddisfacente e più efficace per i nostri pazienti.