Dialoghi tra Gruppoanalisi e Psicologia Analitica


Jung fu il primo, dopo Freud, a portare una rielaborazione della psicologia dell’inconscio di portata straordinaria. Egli ipotizzò infatti che in ogni individuo esistono, al di fuori delle reminiscenze personali, grandi immagini originarie, ossia le possibilità ereditarie dell’immaginazione umana.

Per Jung nel trattamento possono essere riprodotte fantasie non più risalenti solo a ricordi personali, ma manifestazioni dello stato più profondo dell’inconscio, quello in cui giacciono assopite le immagini originarie comuni a tutta l’umanità, cui Jung dà il nome di archetipi, che poi vanno a strutturare l’inconscio collettivo, diverso, in termini di contenuti, da quello personale. Gli archetipi sono le immagini a carattere arcaico proprie di tutta l’umanità, che si manifestano, a livello individuale, nei sogni e nelle fantasie e, a livello collettivo, nei miti, nelle fiabe e nelle opere artistiche. L’inconscio, in tal senso, ha due livelli: quello personale e quello collettivo. L’inconscio personale contiene i ricordi perduti, rimossi, perché dolorosi, quello collettivo rimanda ad immagini originarie, a quelle forme di rappresentazione più antiche e generali dell’umanità. Dunque, per Jung, l’inconscio non contiene solo elementi personali, ma anche impersonali, collettivi in forma di categorie ereditate o, appunto, archetipi.

L’opinione di Jung riguardo alla psicoterapia di gruppo è stata considerata, all’inizio delle sue riflessioni cliniche, decisamente negativa, ma, procedendo ad un esame attento dei suoi scritti successivi, si rivela un rapporto complesso con la psicologia dei gruppi, ricco di luci ed ombre e caratterizzato da molti e insospettati punti di incontro; basti pensare all’interesse per le dinamiche della psiche collettiva, o alla fondamentale corrispondenza, sostenuta da Foulkes tra intrapsichico, interpersonale e transpersonale); da tale modello deriva l’idea foulkesiana del gruppo come sistema autoregolantesi e luogo di proiezioni archetipiche.

Nonostante la posizione contraddittoria di Jung sulla psicoterapia di gruppo, nello sviluppo successivo della psicologia analitica sono emersi numerosi punti di incontro tra i due campi di studio.

Anzitutto lo stesso Jung riconosce una qualità positiva alla psicoterapia di gruppo: quella di favorire l’intervento in quella parte della personalità che ha a che fare con l’adattamento sociale. Jung ritiene che l’adattamento sociale sia un aspetto fondante del cammino dell’individuazione; si ha, infatti, una specie di regolazione omeostatica tra le condizioni interne e quelle esterne che rende possibile il mantenimento di un equilibrio tra esigenze contrapposte, pena l’emergere di disturbi nevrotici. Possiamo altresi sostenere che individuazione e collettività sono una coppia di opposti che mantengono una relazione reciproca, per cui non è possibile procedere nella individuazione senza tenere conto delle richieste sociali.

Essere uomo, per Jung, significa essere “uno” individuato, ma non si può diventare individui senza pagare un prezzo alla società. L’adattamento, che Jung vede favorito nella psicoterapia di gruppo è una premessa, un pre requisito per la successiva individuazione (Jung 1935).

Altro aspetto importante della psicologia analitica, che trova una corrispondenza nella gruppoanalisi è il concetto di Psiche Complessa: per Jung la psiche non è un’unità indivisibile , ma si può scindere in frammenti autonomi, i complessi, che hanno la tendenza ad organizzarsi attorno ad un centro comune: il Sé. (Jung 1947-54).

Queste parti semiautonome, i complessi appunto, possono essere personali o impersonali, comuni cioè a tutta l’umanità e indipendenti dall’Io e dall’esperienza personale; queste strutture incarnano, come i numina romani, temi determinanti archetipici.

Se Jung ha proposto un nuovo modo di concepire l’inconscio, una vera e propria rivoluzione copernicana sopraggiunge con la nascita della Gruppoanalisi. Lo sguardo alle componenti più collettive e sociali già iniziata da Jung, trova infatti in Foulkes una prosecuzione e sistematizzazione di grande rilievo e prestigio. Come scrivono Brown e Zinkin nell’introduzione al volume La psiche e il mondo sociale (1994), “la gruppoanalisi è un tentativo di estendere la psicoanalisi, per la quale l’attenzione è concentrata sul mondo interno del singolo paziente, ad una concezione alquanto diversa dell’individuo come un essere in interazione dinamica con altri, in vari tipi di raggruppamenti sociali”. Foulkes inaugura un diverso modo di considerare il ruolo del sociale e, dunque, del mondo esterno.

Appare qui, con molta evidenza, una analogia con la Psiche Gruppale formata dalla matrice e dai suoi punti nodali, cui corrispondono il Sé e i complessi; in tal senso si può
affermare che il gruppo si costituisce per l’interazione tra i vari membri così come la psiche del singolo individuo si costituisce per l’interazione tra le varie parti della personalità. Un altro aspetto, che appare fondante nella psicologia analitica è il grande rilievo dato alla relazione tra gli individui; Jung parla della necessità di rapporti umani per l’individuo come di un vero e proprio istinto, istinto che fa risalire alla libido parentale radicata nella tendenza endogamica.

Nel mondo di oggi prevale la tendenza esogamica, l’individuo è un estraneo tra estranei, è solo nella relazione che si ha un appagamento di questa richiesta profonda e Jung nota che questo va tenuto ben presente anche nella traslazione perché “il rapporto con il Sé è al tempo stesso rapporto con gli uomini”. Un’altra interessante analogia tra il pensiero junghiano e le dinamiche gruppali riguarda un concetto centrale della psicologia analitica quale quello di archetipo. Bion ipotizza che quando si costituisce un gruppo emergano delle fantasie collettive da lui definite assunti di base: gli assunti non sono prodotti individuali, ma appaiono piuttosto il frutto di una struttura collettiva, il gruppo, che trascende l’individuo; sono temi “a priori” che compaiono quando la struttura supera un certo grado di complessità e vengono in qualche modo “connotati” da contenuti provenienti dall’inconscio dei singoli membri.

Il concetto di archetipo junghiano esprime un’idea abbastanza simile a quella di assunto di base: gli archetipi sono temi preformati, che vengono riempiti e storicizzati dalle esperienze personali, ma preesistono in un serbatoio specifico che è l’inconscio collettivo junghiano, e in questo senso trascendono l’individuo. Dal punto di vista della psicologia analitica il gruppo analitico, nel suo sviluppo, può, poi, essere assimilato ad un processo iniziatico. I vari autori che si sono occupati del processo gruppoanalitico, descrivono fasi di sviluppo, ognuna sfociante nella successiva, che rappresentano un passaggio critico, un superamento, una crescita, e appaiono inscritte teleologicamente in una sorta di “progetto gruppale”: Questa lettura in senso diacronico longitudinale del processo di gruppo ha molte analogie con ciò che in psicologia analitica viene definito individuazione: tutto il processo analitico, per Jung, è costituito da fasi successive di passaggio inscritte nel grande processo dell’individuazione.

Il gruppo quindi appare riproporre, in una sorta di ricapitolazione filogenetica, il processo collettivo dell’individuazione dell’uomo, ritmato dalle immagini delle grandi saghe mitologiche e religiose che trovano nuova vita nelle produzioni dei vari membri. Tutto il processo di gruppo può quindi essere considerato come un unico rituale simile ad un viaggio in cui i pazienti fanno un lungo tragitto attraverso le tappe più remote dell’inconscio collettivo.

Il far parte di un gruppo è l’accesso al cammino dell’individuazione e qui c’è un’altra analogia con quanto affermato da Foulkes a proposito del fatto che il gruppo è il vero agente terapeutico. Appare poi particolarmente suggestiva per l’ analista junghiano, la concezione del gruppo come “luogo” di un’esperienza iniziatica in cui si riattivano immagini tematiche collettive che possono essere interpretate e utilizzate come guida nel processo di individuazione del singolo membro e del gruppo nella sua interezza.

In tale concezione il gruppo può essere descritto come un vero e proprio rito di iniziazione, che ripropone in una sorta di ricapitolazione filogenetica, il processo collettivo dell’individuazione dell’uomo, con le grandi immagini primordiali, numinose e ricche di fascino, che trovano nuova vita nella storia del gruppo.

Per merito quindi di Jung e Foulkes, che hanno superato il concetto di Inconscio Freudiano con, rispettivamente, l’Inconscio Collettivo e quello Sociale, abbiamo una visione dell’uomo moderno come permeabile e permeato dal mondo esterno che impregna tutte le sue strutture psicologiche, i comportamenti, i pensieri, le azioni e i sogni.