Parlando di orientamento relazionale in psicoanalisi si fa riferimento ad un vero e proprio cambiamento paradigmatico che ha portato settori sempre più ampi della psicoanalisi ad abbandonare l’originaria visione intrapsichica a favore di una visione relazionale dell’essere umano e del processo terapeutico. Una visione diversa ma non priva di profondità e di coerenze interne.
Seguendo questo fil rouge, che connette tra loro più modelli teorici, cercherò di ripercorrere brevemente questo cambiamento di prospettiva, che non è avvenuto in modo lineare e costante, essendo stato contrassegnato da grandi intuizioni e da scomuniche, dall’esclusione di alcune linee di pensiero ad opera dell’establishment psicoanalitico e da successive riscoperte e riabilitazioni da parte di nuove generazioni di analisti. L’opzione tra orientamento intrapsichico e orientamento relazionale è di grande significato non solo per la psicoanalisi, ma anche per gli psicoterapeuti, per gli arteterapeuti, e in generale per tutti coloro che operano nelle professioni di aiuto.
L’opzione intrapsichica porta a cercare di ‘decifrare’ il significato nascosto di ciò che viene espresso a livello verbale e/o corporeo, oppure attraverso un disegno, come se ci fossero delle corrispondenze stabilite una volta per tutte tra una determinata espressione (verbale, corporea o iconica) e il suo significato. Possiamo anche dire che l’opzione intrapsichica corrisponde al campo della spiegazione anzichè a quello della comprensione. Nel secondo caso (l’opzione relazionale), il terapeuta, o conduttore di gruppo, favorirà l’instaurarsi di un clima accogliente in cui le sensazioni e le emozioni possano prendere forma ed essere comprese empaticamente e un nuovo sentimento di ‘verità’ possa nascere dalla condivisione di tali esperienze. Ciò che conta è che ci sia sintonia, che ci si incontri sulla stessa lunghezza d’onda, poiché questo è il presupposto per poter comprendere le emozioni degli altri. Quindi chi assume un orientamento relazionale si rende conto che solo all’interno di una relazione risonante ed empatica si potrà comprendere il senso di un racconto in cui compaiono una torre o un campanile, come pure il senso emotivo di quel colore rosso o blu, usato da quel determinato soggetto in quel determinato contesto.
Già da molti decenni la Metapsicologia (o teoria generale della psiche) elaborata da Freud ha perso il ruolo ‘sacrale’ che aveva un tempo, e i modelli intrapsichici che ne sono derivati (a partire da quello kleiniano) sono stati sottoposti ad un serrato vaglio critico.
Freud distingueva tra fenomeni intrapsichici (interni alla psiche dell’individuo) e interpsichici . Ma la sua attenzione si concentrò soprattutto sul mondo intrapsichico, o ‘mondo interno’. In esso, secondo la concettualizzazione freudiana, agiscono delle forze innate, le pulsioni, che hanno origine nel corpo e sono guidate dal ‘principio del piacere’ (dove il piacere viene fatto coincidere con la cessazione di uno stato di eccitazione attraverso la ‘scarica’ delle energie pulsionali). Ma poiché il desiderio di soddisfare le pulsioni si scontra con il mondo esterno, il mondo interno viene ad essere abitato, oltre che da rappresentazioni degli ‘oggetti’ che hanno procurato soddisfazione, anche da rappresentazioni dei divieti provenienti dal mondo esterno e diventa perciò il teatro di conflitti tra diverse istanze.
Freud concentra dunque la sua attenzione prevalentemente sui processi psichici interni all’individuo e sul modo in cui questi influenzano i rapporti interpersonali. Pur non ignorando che l’influenza è nei due sensi, e che anche il mondo esterno influenza l’interno, si occupa quasi esclusivamente delle vicende ‘intrapsichiche’. Questo vale non solo per la sua elaborazione teorica, ma ancor più per la pratica terapeutica che da Freud si è sviluppata. Con il passare del tempo, tuttavia, l’estensione del campo di applicazione della psicoanalisi a nuovi contesti (il lavoro con i bambini, il mondo della psicosi, il lavoro nelle istituzioni, le pratiche di gruppo) ha portato a modifiche della pratica terapeutica, a variazioni del setting e ad un’enorme quantità di nuove esperienze, che hanno indotto a dei ripensamenti anche sul piano teorico.
Con ogni variazione del setting, in effetti, favorisce una diversa fenomenologia. Il lettino, in cui il paziente è visto ma non può vedere l’analista, è funzionale ad una teoria in cui è necessario che il paziente regredisca ad una condizione da nursery affinché il suo transfert possa essere analizzato; corrisponde inoltre ad una pratica terapeutica fondata sul mito di un’analista che non partecipa al campo relazionale ma si limita ad offrirsi come sfondo neutro e asettico su cui il paziente proietta i contenuti del suo “mondo interno”.
Nel setting vis-à-vis emergono in tutta la loro evidenza aspetti che prima si cercava di sterilizzare e che riguardano la relazione che si sviluppa nell’attualità tra analista e analizzando, nonché l’intreccio tra i rispettivi transfert. Il vis-à-vis riduce l’asimmetria della relazione e consente un complesso intreccio di comunicazioni, verbali e non verbali, che viaggiano nei due sensi. Diventa così cruciale la capacità dell’analista di accogliere emotivamente l’altro ed emergono fenomeni come il rispecchiamento, la risonanza, la sintonizzazione.
Il cerchio introdotto dalla Gruppoanalisi, in cui ogni membro è visto e può vedere tutti gli altri membri del gruppo e il conduttore siede all’interno del cerchio, fa emergere un intreccio ancor più complesso di comunicazioni verbali e non verbali e nuovi fenomeni, che difficilmente potevano essere sperimentati nel setting duale. Si risuona con il gruppo, cii rispecchia non solo con il terapeuta ma anche con gli altri membri del gruppo. Di conseguenza il nuovo setting ha portato allo sviluppo di nuovi pensieri teorici, come il concetto, sviluppato da Foulkes, di un transfert orizzontale, tra pari. Ha inoltre avuto una notevole influenza sulla tecnica (si veda l’importanza data alla qualità qui-ed-ora dell’interpretazione). In un articolo pubblicato nella Rivista Group-Analysis, Stephen Arcari sottolinea inoltre che la posizione in circolo incoraggia il pensiero simmetrico. A questo proposito vorrei aprire una parentesi per segnalare che il cerchio di persone sedute sul pavimento su dei cuscini (un’ulteriore variazione del setting, frequentemente utilizzata nell’ambito delle pratiche corporee o a mediazione artistica) fa emergere in modo ancor più significativo la comunicazione corporea anche durante i cosiddetti ‘spazi di verbalizzazione’.
Il corpo diventa più plastico e se, ad esempio, qualcuno non si sente connesso, in un determinato momento, con il resto del gruppo, è probabile che lo segnali involontariamente con la posizione del corpo (magari arretrando un poco, in modo da porsi un po’ fuori dal cerchio, oppure girandosi in altra direzione, o altro ancora) e il suo stato d’animo potrà essere recepito, anche in assenza di parole, attraverso meccanismi di rispecchiamento che coinvolgono specifici processi neuronali (i neuroni a specchio), da altri membri del gruppo.
Contributo scritto a partire da un articolo di Giovanna Bosco