Per trauma si intende una esperienza minacciosa estrema, insostenibile e inevitabile, di fronte alla quale l’individuo è impotente, che produce una esperienza di disconnessione e disintegrazione.
Nella psicoterapia con pazienti che hanno subito un trauma evolutivo non è spesso utile focalizzarsi sulla ricostruzione di ipotetici eventi autobiografici. E’ piuttosto il tentativo di rielaborare le esperienze traumatiche da altre prospettive che ha un effetto terapeutico. Kihlstrom (2006) sostiene che affinché l’esperienza soggettiva non elaborata diventi simbolizzata nella consapevolezza conscia, deve essere creato un collegamento tra la rappresentazione mentale dell’evento e una rappresentazione mentale del Sé come agente o come colui che fa esperienza. Le rappresentazioni episodiche dell’oggetto della senso-percezione e del Sé risiedono e sono collegate nella memoria a breve termine.
Le ragioni per cui si può dubitare della possibilità della rappresentazione immediata a livello cosciente degli stati della mente sono le stesse per cui è piuttosto improbabile la trasformazione e il recupero dei ricordi rimossi ad opera della coscienza, semplicemente perché la coscienza e l’inconscio si servono di due sistemi di trascrizione diversa dei ricordi. Il punto è stato efficacemente messo a fuoco da Fonagy (1999b). Il paziente mette in atto nella situazione analitica i modelli inconsci di relazione tra il Sé e l’oggetto. Questi modelli sono immagazzinati nella memoria implicita, procedurale, ed indirizzano coattivamente il comportamento del paziente ad di là del suo controllo e della sua consapevolezza. Essi sono procedure che organizzano il comportamento interpersonale ma non sono accessibili alla coscienza. L’analisi allora funziona in quanto “esperienza emozionale correttiva” (Alexander, 1946), che permette l’emergere di nuovi, e più funzionali, schemi di comportamento nella confortevole situazione di sicurezza e tollerante accettazione fornita dall’analista; rispetto ai quali il recupero dei ricordi dimenticati è più un epifenomeno, un effetto collaterale del fatto che il paziente si esperisce diversamente rispetto al suo coattivo passato perché si sente esperito e accettato in maniera nuova dall’analista.
Fonagy (1999a) per spiegare l’effetto trasformativo della psicoterapia impiega il concetto di “metacognizione”, o capacità riflessiva, che è un’applicazione della funzione riflessiva o mentalizzante anziché alle vicissitudini della relazione di attaccamento tra infante e caregiver a quelle della relazione terapeutica che ne è una riedizione.
La metacognizione conferisce significato e valore all’esperienza, distinguendo il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il reale dall’immaginario. Il trattamento terapeutico obbliga il paziente a concentrarsi sullo stato mentale di un altro soggetto che si propone con un atteggiamento di benevola accettazione, il terapeuta. L’interpretazione frequente e profonda dei fenomeni transferali è la chiave per la comprensione più ampia, da parte del paziente, dei suoi aspetti esperienziali e comportamentali. Gli eventi traumatici dissociati si fanno largo attraverso le pieghe del comportamento, del sintomo, dell’atto mancato, dell’enactment, e possono essere recuperati solo per via indiretta, perché sono codificati in un diverso sistema di memoria, e pertanto non possono divenire coscienti. L’agito ha a che fare con un tessuto emozionale e rappresentazionale comune, in cui conta fino a un certo punto chi è l’esecutore di esso, potendo l’analista agire una parte dissociata del paziente che questi ha collocato in lui tramite l’identificazione proiettiva (e che egli ha inconsciamente accolto).
Dunque il circuito transfert-controtransfert è il luogo privilegiato dove la potenza delle componenti proiettive inconsce della personalità si scatena e l’analista diviene, quindi, il rappresentante dell’oggetto interno traumatico in rapporto con la parte del Sé traumatizzata e dissociata, e la relazione analitica va incontro alle vicende disfunzionali che il paziente soffre nella vita affettiva reale.