Oltre all’inconscio rimosso e al preconscio va riconosciuto a Freud il merito di aver intuito l’esistenza dell’inconscio non rimosso. Freud sottolinea, infatti, l’importanza di estendere l’inconscio a una parte dell’apparato psichico più primitiva dell’inconscio dinamico, che sembra avere a che fare con l’esperienza sensoriale associata alla percezione della realtà esterna.
Purtroppo Freud non comprese pienamente il valore euristico di questa sua riflessione, non solo per la teoria della mente, ma anche e soprattutto per le sue ricadute sul piano clinico, sul trattamento delle patologie pre-edipiche, in cui per dirla alla maniera di Solms e Pankseep (2012), il paziente «sa meno di quello che sente, piuttosto che sapere più di quanto ammette», tipico delle nevrosi.
Si tratta, quindi, di un nuovo vertice di osservazione che mette in discussione l’idea che esista un modello di intervento unico e adeguato a tutte le condizioni psicopatologiche, o che l’intervento psicoanalitico possa ridursi a poche articolazioni tecniche, come per esempio l’interpretazione, che nonostante sia efficace per alcuni pazienti, in particolar modo per quelli con un’organizzazione nevrotica di personalità, è del tutto inutile per i pazienti gravi, nei quali non il rimosso e il ritorno del rimosso, ma la compromissione delle capacità di mentalizzazione e di regolazione emotiva rappresenta il fulcro del loro funzionamento mentale.
Proveremo a occuparci di alcuni modi di concepire l’inconscio non rimosso da parte di altri psicoanalisti come Bion, Attwood, Storolow e De Masi.
Diversamente dall’idea di un deposito in cui vengono raccolti contenuti rifiutati dalla coscienza, per Bion l’inconscio è una funzione della mente; il riferimento è alla funzione alpha, una sorta di metabolizzatore psichico che permette di trasformare le esperienze sensoriali (elementi beta) in contenuti psichici (elementi alpha).
Sappiamo che per Bion i pensieri vengono posti alla stregua del sogno, per cui pensare significa sognare: una capacità tipicamente umana che permette di rendere conscio l’inconscio. Non c’è, quindi, il solo riferimento alla capacità immaginativa notturna, ma anche a quel lavorio psichico grazie al quale il soggetto può diventare consapevole della propria emotività.
I pensieri senza pensatore riguardano quelli che Bion definisce “pensieri selvatici”, cioè pensieri dalla forte connotazione sensoriale-affettiva. Interessante è anche la posizione di Franco De Masi che, in uno dei suoi testi più riusciti dal titolo “Lavorare con i pazienti difficili”, articola un interessante discorso sull’“inconscio emotivo-ricettivo”, spiegato come un sistema mentale deputato alla ricezione e alla simbolizzazione di stati affettivi e all’utilizzo della funzione di comunicazione emotiva intra e inter-psichica. Per De Masi lo sviluppo dell’inconscio emotivo-ricettivo non è automatico, ma necessita di un ambiente relazionale emotivamente supportivo, ovvero «orientato alla ricettività e alla restituzione da parte della figura materna delle sue (del bambino) prime proiezioni comunicative. Grazie al fatto di essere trattato come una persona, il bambino è inserito gradualmente nel mondo umano dei significati, ed è in grado di diventare a sua volta un essere capace di dare senso alle proprie esperienze, di comprendere i propri simili e di comunicare con loro».
Se emotivamente supportive, quindi, le relazioni primarie cargiver-infante favoriscono lo sviluppo sia dell’inconscio emotivo-ricettivo, sia successivamente dell’inconscio dinamico.
Una volta maturi, i due inconsci lavorano in parallelo: l’inconscio emotivo-ricettivo captando e comunicando le emozioni dell’inconscio dinamico, che le trasformerà in rappresentazioni passibili di rimozione. «Il soggetto prima registra le emozioni inconsapevolmente e poi le rende inconsce se sono ritenute incompatibili… La rimozione può avvenire solo in quanto un’emozione è stata registrata precedentemente, ossia se esiste un inconscio che entra inazione ancor prima dell’inconscio dinamico». Secondo questo modello, quindi, l’inconscio emotivo-ricettivo costituisce la premessa necessaria perché possa operare l’inconscio rimosso.
In un libro del 1997 Storolow e Attwood distinguono tre forme di inconscio: l’inconscio dinamico, l’inconscio pre-riflessivo e l’inconscio non convalidato. Applicando il loro vertice teorico, intersoggettività, l’inconscio dinamico viene descritto come un deposito che non contiene i derivati pulsionali rimossi, ma quegli affetti esclusi difensivamente dalla coscienza perché non sono stati in grado di elicitare una risposta sintonizzata da parte dell’ambiente.
In questa interpretazione dell’inconscio dinamico c’è un chiaro richiamo al ruolo dell’esperienza affettiva nello scambio intersoggettivo fra genitore e bambino, in un periodo del ciclo di vita in cui quest’ultimo ha sviluppato, anche da un punto di vista neurobiologico, le capacità cognitive di distinguere l’esperienza interna da quella esterna, il sé dal non sé: un periodo evolutivo in cui sono mature le capacità comunicative legate alla verbalizzazione. La mancata o difettosa sintonizzazione affettiva da parte delle figure di accudimento durante la fase preverbale del bambino incide negativamente sulla sua articolazione simbolica degli stati emotivi. Le emozioni non simbolizzate possono così essere esperite dal bambino attraverso il corpo: è quello che Van der Kolk chiama la memoria corporea di un’esperienza pre-simbolica e pre-verbale. In breve, il corpo tiene il conto (Van der Kolk,2014) di esperienze che si mantengono in quello che i due psicoanalisti chiamano inconscio non convalidato.
«L’inconscio non convalidato descrive quegli aspetti della vita soggettiva che non sono mai potuti diventare pienamente esperienza, perché non hanno mai trovato nell’ambiente emotivo una risposta che li convalidasse. Spesso alcuni aspetti dei propri talenti e interessi, del proprio carattere, come pure le crisi e i dilemmi della vita emotiva, non hanno mai provato il riconoscimento di cui avevano bisogno per diventare pienamente reali per quella persona» (Orange-Storolow-Attwood, 1997).
Per quanto concerne l’inconscio pre-riflessivo, Attwood e Storolow si riferiscono all’attività di principi organizzatori interni che modellano e tematizzano le esperienze dell’individuo. Sempre secondo detto autori, «I principi organizzatori del mondo soggettivo di un individuo, sia che operino positivamente (dando origine a certe configurazioni a livello conscio) o negativamente (impedendo a certe configurazioni di svilupparsi), sono di per sé inconsci. Gli inconsci pre-riflessivo e non convalidato sarebbero quindi due diversi tipi di inconscio non rimosso, sebbene l’inconscio non convalidato risulti dall’esperienza di precoci e cronici vissuti relazionali di mancata o compromessa sintonizzazione affettiva con le figure di accudimento.
Bibliografia: Craparo Giuseppe, Inconscio non rimosso, 2023, Franco Angeli.