Il corpo come strumento di dialogo

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La più antica e diffusa concezione del corpo è quella che lo considera lo strumento dell’anima, la “manifestazione esterna” o “realizzazione esterna” dell’anima.

Il corpo oggi è divenuto il mezzo di espressione di sé, del proprio potere, delle proprie sofferenze mute. È il corpo esposto allo sguardo dell’altro, senza forma, senza veli, senza filtri che ne proteggano la fragilità. È il corpo manipolato dalla chirurgia estetica, è il corpo nudo delle lotte animaliste, è corpo leso dell’adolescente autolesionista, è il corpo macchina dell’atleta. È il corpo non più immaginato, ma concreto. È il corpo manipolato della fecondazione assistita. Il corpo coperto e invisibile dell’Islam. I nudi d’arte. Siamo di fronte alla perdita della sacralità del corpo che è esposto, ferito, mutilato, nelle continue immagini attuali. Il corpo tatuato.

Il corpo diviene l’“altro” con cui si apre un dialogo per trovare un senso alla propria esperienza.

Il corpo in adolescenza

L’adolescenza è quella fase di passaggio caratterizzata da profonde trasformazioni fisiche, psicologiche, famigliari e sociali di cui il corpo diviene il protagonista, il tramite attraverso il quale il giovane cerca di dare una forma e un senso alle proprie contraddizioni. A causa delle repentine trasformazioni corporee, l’adolescente si trova di fronte a un “corpo disincarnato” segno e simbolo di una mancata identità (Gabrielli, Nanni, 2010). L’adolescente utilizza il corpo per esprimersi socialmente, per elaborare la propria identità di genere, per comunicare agli altri i valori cui intende fare riferimento. Il corpo, come un foglio di carta, si presta per comunicare con il mondo, ridefinire i confini e compattare una identità poco coesa (Dalla Ragione, 2012). In questa ottica non sorprende che il corpo sia il mezzo con cui l’adolescente esprime i contenuti profondi della propria mente e che attraverso l’uso sociale e comunicativo del corpo si attua la costruzione lenta e progressiva della propria immagine mentale, utilizzata da base di appoggio alla propria identità di genere. Soprattutto in adolescenza il corpo è il mezzo utilizzato per esprimere ed elaborare conflitti. Le questioni irrisolte relative all’attaccamento sono spostate dal rapporto con i genitori a quello con il proprio corpo; la somatizzazione di sentimenti, conflitti e pulsioni diviene espressione di conflitti psichici e strumento di relazione.

Per Pietropolli Charmet il lavoro (azioni, riti, investimenti individuali e di gruppo dedicati al corpo) sul corpo in trasformazione che compie il giovane adolescente, esprime concretamente il suo lavoro mentale in corso e ha come obiettivo il renderlo comprensibile, il riuscire a dargli una “forma” o un aspetto coerente con aspettative e valori interiori che non hanno valenze estetiche ma identificatorie; servono cioè a conoscere e rendere proprio il nuovo corpo.

Il corpo nei Disturbi Alimentari

I Disturbi Alimentari sono caratterizzati dalla presenza di almeno due tipi di alterazioni: a) alterazioni nel comportamento alimentare, b) alterazioni nella percezione del proprio corpo. Le differenti forme di disturbi alimentari (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata) condividono un “nucleo psicopatologico” caratterizzato dall’eccessiva valutazione della forma del corpo e del peso e del loro controllo. Mentre la maggior parte delle persone si valuta sulla base delle proprie prestazioni in una molteplice varietà di aree di vita, come la qualità delle proprie relazioni affettive, le proprie capacità professionali e altro, i soggetti con disturbi alimentari presentano una valutazione di sé centrata principalmente o esclusivamente sul peso, sulla forma del proprio corpo e sulla propria capacità di controllarli (Fairburn, 2010).

Nei soggetti con disturbi alimentari i livelli di autostima sono quindi fortemente influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo. Il terrore di ingrassare, il desiderio di perdere peso, il livello di insoddisfazione per il proprio aspetto fisico dominano la quotidianità di chi soffre di disturbi alimentari. La perdita di peso viene considerata come una conquista e un segno di autodisciplina, mentre l’incremento ponderale viene vissuto come una perdita di controllo.

Sebbene alcuni possano rendersi conto della propria magrezza, in genere i soggetti con questo disturbo negano le gravi conseguenze sul piano della salute fisica del loro stato di emaciazione, spesso infatti manca la consapevolezza di malattia, oppure questa viene fermamente negata.

La percezione e il valore attribuiti all’aspetto fisico e al peso corporeo risultano distorti, alcuni si sentono grassi in riferimento alla totalità del loro corpo, altri percepiscono come “troppo grasse” alcune parti del corpo, in genere l’addome, i glutei, le cosce. Per Bruch (1977) è la relazione materna disturbata a generare nell’anoressica la dispercezione corporea. La madre sembra occuparsi della figlia in funzione dei propri bisogni, anziché soddisfare le esigenze della bambina. Il corpo viene esperito come prolungamento di quello materno, appartiene pertanto ai genitori, non a se stessi; ecco perché sottoporlo a una disciplina estrema sembra l’unico modo per impossessarsene davvero.

La maggior parte delle pazienti è preoccupata per il proprio peso e per le forme corporee e utilizza comportamenti di controllo (pesarsi continuamente per valutare le minime variazioni, controllarsi allo specchio) oppure di evitamento (evitano di pesarsi e di guardarsi allo specchio) che tuttavia mantengono l’eccessiva attenzione sul corpo e sul peso (Fairburn, 2010).

Nei disturbi alimentari la bilancia diviene la prova del valore di sé. La persona che vive un disagio corporeo non soffre per il proprio corpo o per come è fatto, soffre “il proprio corpo” e la sua condizione. Infatti il cambiamento della forma non placa il senso di inadeguatezza. Questo perché il problema si esprime attraverso il corpo ma non sta nel corpo, né lo riguarda. Riguarda piuttosto la sua controparte psicologica, ovvero le immagini di sé o rappresentazioni attraverso cui la persona valuta se stessa (Faccio, 2007).

Per Pietropolli-Charmet (2000) l’attacco al corpo, come ogni agito, esprime un fallimento dei processi di rappresentazione mentale e simbolizzazione degli oggetti assenti o perduti. Nel disturbo alimentare il corpo perde la caratteristica di essere l’apertura verso l’esistenza e diviene la barriera attraverso la quale proteggersi (Dalla Ragione, 2012).

Non si può fare a meno di citare il famoso testo di Anzieu, L’Io-pelle che descrive le differenti funzioni esercitate dalla pelle del bambino:

  1. la pelle è il sacco che contiene e trattiene all’interno il buono e il pieno che le cure e il bagno di parole vi hanno accumulato;
  2. la pelle è la superficie di separazione che segna il limite con il fuori e lo mantiene all’esterno;
  3. la pelle è luogo di comunicazione primario con gli altri.