Il concetto di trauma

Il trauma viene definito da Lacan con un neologismo: “troumatism” (trou in francese significa “buco”). Incontrare un trauma è, quindi, incontrare un buco, un’assenza; un’impossibilità di descrivere in modo accurato e soddisfacente il trauma stesso. In un primo tempo il trauma ci coglie sempre impreparati, si è in una condizione passiva, ed è il momento della “entrata inconsolabile nell’anima”.

Bisogna fare una distinzione fra traumi strutturanti e destrutturanti. I primi sono necessari per l’evoluzione del cucciolo di uomo, come il trauma benefico del linguaggio a cui si collega una catena di traumi separativi dal corpo della madre, fondamentali per la formazione del soggetto. Si tratta di traumi che umanizzano la vita, che rendono la vita umana abitata dalla mancanza e quindi, in quanto tale, dal desiderio. I secondi, invece, sono i traumi che incontriamo nella clinica, che possono avere una portata soverchiante e originare diverse forme di sofferenza psichica.

Una contingenza può essere traumatica nella misura in cui è impedita la sua simbolizzazione, e l’esperienza clinica ci insegna che non c’è un evento traumatico “in sé”: ciò che lo rende traumatico è l’impossibilità di simbolizzarlo. Ciò che emerge è che il concetto di trauma ha molteplici definizioni; ci sono differenze, per esempio, fra i traumi d’abbandono e quelli d’abuso o maltrattamento, quelli subiti da mano umana e quelli dovuti a catastrofi naturali. Declinazioni che, per quanto un evento in sé non possa definirsi a priori traumatico, hanno implicazioni specifiche e distinguibili.

Negli anni ’80 del secolo scorso si è assistito a una controversia in cui il problema del trauma reale è diventato centrale in rapporto all’idea del trauma fantasmatico freudiano. Un gruppo di psicoanalisti di questa epoca si è schierato contro il padre della psicoanalisi, basandosi principalmente sui dubbi miglioramenti sintomatici dei suoi casi clinici. Degli esempi sono Ferenczi, Alice Miller che, con i loro libri, hanno posto al centro dell’interesse l’influenza dei traumi nello sviluppo, a partire dal «dramma del bambino dotato» ed esplorando poi le tematiche del bambino perseguitato, inascoltato, maltrattato e tradito. Il pensiero della Miller ha seguito la scia della critica radicale a Freud del movimento nord-americano ispirato alla Psicologia del Sé di Kohut che ha rappresentato una delle più potenti correnti di dissidenza all’interno della psicoanalisi, centrando l’attenzione clinica sul ruolo traumatico delle figure parentali, ridimensionando il concetto di pulsione come elemento di conflitto intra-psichico e ponendo l’accento sull’ambiente relazionale del bambino.

Quindi, la teoria delle relazioni oggettuali che emerge da tutte queste posizioni è da considerare una ridefinizione della teoria della motivazione, dove la pulsione viene vista non più subordinata alla ricerca del piacere, ma dell’oggetto, dove viene sottolineata l’importanza dei rapporti umani nelle prime fasi di sviluppo per la conseguente interiorizzazione delle “relazioni oggettuali”. Questo importante sviluppo sembra un cambiamento di paradigma della psicoanalisi e ha rivelanti implicazioni per la teoria della cura, dove l’enfasi non è più solo sull’interpretazione verbale per rendere conscio l’inconscio (inconscio rimosso o strutturato come un linguaggio), ma sul fornire al paziente un “nuovo” rapporto sufficientemente buono, in modo da “riparare” il deficit dello sviluppo che così può riprendere il suo corso (inconscio non rimosso).
Secondo Clara Mucci è possibile individuare un primo livello di traumatizzazione che riguarda il trauma relazionale infantile come conseguenza di una mancata sintonizzazione fra madre e bambino nei primi due anni di vita; un secondo livello costituito da maltrattamento, abuso e grave deprivazione che può cumularsi al primo; e un terzo livello che riguarda traumi massivi, come guerre, stermini o anche traumi sociali legati all’immigrazione.

Una madre sufficientemente buona, come direbbe Winnicott, ha delle risorse spontanee per sintonizzarsi emotivamente con il suo bambino, per rispondere sia alle sue esigenze fisiologiche, sia a quelle emotive. In assenza di parole e di linguaggio c’è una particolare funzione dell’emisfero destro, come dimostrano le ricerche più recenti delle neuroscienze, che permette di entrare in una sintonia profonda con l’emisfero destro del bambino per proteggerlo e accudirlo in modo amorevole. L’esperienza della sintonizzazione affettiva consente una regolazione emotiva fondamentale per lo sviluppo neurologico e psicologico del bambino.

Da un punto di vista neurobiologico il trauma relazione infantile di primo livello porta secondo la Mucci a:

  • effetti sul corpo: mancata regolazione dell’HPA (asse ipotalamo-ipofisi-surrene) influenzando la regolazione di vari peptidi, ormoni e neurotrasmettitori che possono causare anche abbassamenti delle difese immunitarie;
  • effetti sulla psiche: disregolazione affettiva, impulsività, oscillazioni dell’umore, comportamenti compulsivi che nell’età adulta possono trasformarsi in uso di alcol e droghe, depressione e violenza (su di sé e sugli altri), disturbo del comportamento alimentare e alessitimia con disturbi psicosomatici;
  • effetti a lungo termine: mancato sviluppo delle aree frontali da cui dipende la modulazione dei comportamenti, il controllo dell’impulsività, la pianificazione e la decisionalità.

I traumi precedenti ai primi due anni di vita, non essendo ancora pienamente formato l’ippocampo, non possono essere ricordati come memoria esplicita, ma solo come memoria implicita e sensazione: non se ne può far parola, non si può narrare (non c’era il linguaggio disponibile a etichettare e immagazzinare quel ricordo), ma il corpo ricorda attraverso sensazione ed emozione perché l’amigdala è già formata fin dalla nascita. Nell’amigdala risiedono impressioni sensoriali che potranno essere richiamate da sollecitazioni successive a livello emotivo.

Il soggetto non ricorda quindi perché era troppo piccolo o perché l’evento era superiore alla sua soglia di sopportazione, e dunque ha dissociato; il ricordo può trovarsi nell’amigdala, nei comportamenti e nel corpo, ma non nell’evocazione mnestica in termini di linguaggio e di narrazione episodica.

A partire da questi presupposti la terapia efficace con il soggetto traumatizzato, secondo Mucci, consiste in una terapia della regolazione affettiva, in cui, come affermava a suo tempo Ferenczi, la partecipazione affettiva del terapeuta è fondamentale per ricontattare parti scisse e dissociate in cui l’analista si fa testimone benevolo. Da un punto di vista neurofisiologico il terapeuta dovrebbe riuscire ad ascoltare con la propria memoria implicita, attivando l’emisfero destro “empatico”.

Bibliografia: Porta Laura, Declinazioni del trauma, 2023, Franco Angeli.