Il concetto di Reale in Psicoanalisi

Nella tradizione psicoanalitica il Reale rappresenta ciò che non è possibile pensare, rappresentare, simbolizzare, cogliere nel discorso del soggetto. Si tratta, quindi, di ciò che si pone al di là del simbolico, poiché come scrive Lacan «resiste in modo assoluto alla simbolizzazione». I contenuti di tale inconscio, le emozioni non simbolizzate, si manifestano in maniera diretta e concreta attraverso il corpo.

Per questo motivo è innominabile e di conseguenza terrificante, a meno che non venga contenuto, filtrato dai due ordini, dell’immaginario e del simbolico; il Reale è quindi di per sé traumatico: esso rappresenta, infatti, uno dei registri essenziali nel processo di soggettivazione desiderante. Trauma e Reale, però, non per forza coincidono; ad essere traumatica è l’impossibilità di contenere l’azione del Reale. Di conseguenza, come afferma Recalcati, ci si pone di fronte a una questione centrale perciò che riguarda la clinica del Reale, ossia l’inefficacia di qualsiasi interpretazione orientata a svelare la verità inconscia dell’individuo (inconscio rimosso).

Nella vita di una persona l’esperienza del Reale non si lascia insabbiare in nessun romanzo familiare; il Reale rimane sempre come un detrito mnestico e corporeo che nessuna elaborazione simbolica può corrodere fino in fondo.

Infatti, il Reale delle emozioni non simbolizzate, vissute concretamente nei primi anni di vita, rappresenterebbe la condizione normale di un funzionamento psichico in una fase evolutiva in cui non sono ancora maturi i centri neuronali preposti alle attività cognitive e di simbolizzazione verbale. Sappiamo che nei primi tre anni di vita i vissuti emotivi del sé vengono immagazzinati nella memoria implicita. Ma in contesti relazionali in cui il bambino fa esperienza di un ambiente emotivamente trascurante, non in grado, cioè, di sintonizzarsi e di riconoscere le sue richieste emotive, queste provocherebbero il residuarsi di emozioni primitive (le emozioni traumatiche, o elementi beta bioniani) dall’effetto disturbante per il suo successivo sviluppo psicosomatico.

In soggetti con croniche storie di trascuratezza le emozioni traumatiche popolano quella parte della psiche definibile come “inconscio non rimosso”, costituendo veri e propri buchi corporei capaci di evocare un vissuto terrificante, tipico dei quadri psicotici e delle dimensioni borderline.

L’esperienza del buco ha a che fare con un Reale che è di per sé il nucleo di qualsiasi normale esperienza affettiva, ma a condizione che vada incontro ad una riformulazione immaginaria prima e simbolica poi. In condizioni di accudimento sufficientemente buono il confronto con il Reale delle emozioni non ancora simbolizzate (in risposta a stress gestibili nella relazione con il caregiver) può determinare la formazione di vissuti a partire dai quali il bambino comincia a fare esperienza di un mondo estraneo, staccato da sé.
Il non-senso di queste esperienze crea le condizioni per la successiva divisione soggettiva; è, infatti, nei casi di cronico disconoscimento e di deprivazione affettiva che il Reale delle emozioni primitive assume una violenza tale da determinare una grave disorganizzazione psichica e somatica.

In analisi, spesso, abbiamo tanti esempi che mostrano l’importanza della matrice sensoriale ed affettiva del linguaggio; nel brusio della lingua il rapporto del soggetto con il significante rimanda all’esperienza del godimento prim’ancora che avvenga l’abbinamento tra significante e significato. L’esperienza del Reale è interna al linguaggio, è l’effetto del linguaggio sull’essere vivente umano. In un trattamento psicoanalitico abbiamo modo di verificare come il soggetto si sia costruito con un Altro (Matrice relazionale di Mitchell e Foulkes).

Se nella clinica della nevrosi abbiamo la possibilità, dunque, di verificare l’esistenza dell’Altro in quanto costruzione che permette al soggetto di posizionarsi (fantasmaticamente) rispetto alla propria esperienza del Reale, nella clinica dei pazienti borderline e dei tossicomani siamo di fronte, invece, a un disfunzionamento dell’Altro che, invece di configurarsi come un Altro strutturato, si presenta come uno sciame di significanti che non permette al soggetto di appoggiarsi alla trama dell’Altro per assumere una posizione di fronte al trauma del Reale. Nella clinica quotidiana con questa tipologia di pazienti è quindi molto importante la dimensione pragmatica e relazionale dell’incontro terapeutico per rendere possibile la lenta trasformazione custodita nel Reale del sintomo.

Bibliografia: Terminio Nicolò, L’ intervallo della vita, 2020, Alpes.