L’era postmoderna tra identità transnazionale e sindromi mutanti

Epoca postmodernaL’effetto delle migrazioni di massa è stato la creazione di tipologie umane radicalmente nuove. Persone che sono radicate alle idee piuttosto che ai luoghi, ai ricordi piuttosto che alle cose materiali, persone che sono state obbligate a definirsi, poiché gli altri le hanno obbligate a definirsi in tal modo in relazione alla loro diversità; persone nel cui profondo avvengono strane fusioni, unioni senza precedenti tra ciò che erano e dove si trovano.

L’ Umanità sformata e trasformata da una sindrome del migrante che colpisce tutti, anche chi non si è mai mosso dal paese natale. Destino che accomuna chi è post-moderno, non certo per talento proprio né per vocazione, ma solo per essersi incarnato in quest’epoca, mondo, realtà. Che lo si sappia o no, abitiamo uno spazio transnazionale che rimescola protocolli, pezze d’appoggio reali o presunte, ma soprattutto carte d’identità convenzionali al punto che più facile è dire chi non siamo che chi potremmo mai essere. Si tratta forse di un’ umanità strapazzata, rivoltata da un ‘vento globale’, scossa dalla scomparsa della coincidenza fondante tra esistenza e luoghi, identità e geografia; alle prese con la complessità e il caos dei sistemi, caratteri che si traducono in psicopatologie d’intensità e quantità senza precedenti nella storia umana. Interrogarsi su chi siamo è esercizio utile per tutti ma diventa doveroso che venga fatto almeno dagli psicoterapeuti.

Per chi fa il terapeuta ciò significa avere a che fare con “identità che sono più appartenenze a un flusso che a un luogo” e la difficoltà è trovare dove abitino davvero queste identità. C’è stato un prima del colonialismo quando l’identità europea era moderata, regolare, stabile, riconoscibile. Dal ‘500 in poi è iniziato “un gigantesco flusso di roba nuova dalle colonie come oggi c’è un flusso che ci porta Internet”: da allora niente è stato più come prima; sono state poste le basi per la creazione dello spazio transnazionale; la continuità della storia è venuta meno; nelle colonie hanno prevalso la creolizzazione, il meticciato, il mescolamento e “la creolizzazione nella colonia, è la globalizzazione attuale”. Prima sono state le merci a spostarsi, ora sono “i cavi di Internet dentro cui viaggiano i sistemi di flusso finanziario”.
Il grande flusso di uomini, materie, comunicazione (diventata ipertrofica nel mondo postmoderno) “è stato la base di costruzione di una nuova trama, cosa concreta, per la nostra identità psicologica” fino ad approdare allo spazio instabile e mutante. Anche quello di Internet: c’è gente che ci passa o addirittura ci vive in questo luogo-non luogo, proprio come i migranti. “Esistono individui, famiglie, gruppi e comunità transnazionali. Ci sono persone che possono risiedere più in uno spazio come questo che in uno fisico. Non si può pensare che non esista, richiede competenze particolari. Bisogna che noi terapeuti ragioniamo su tali nuove dimensioni”.

Difficile sentirsi esistere se i luoghi sono fuggevoli, aumenta la complessità, aumentano le discrasie, la tempistica dei cambiamenti è accelerata, non c’è più nessuna linearità, l’evoluzione è diventata ‘cespugliforme’. “Come psicoterapeuti dobbiamo essere consapevoli che esistono sindromi della modernità e nuove sindromi della postmodernità”. La postmodernità si ricompatterà in qualcosa di molto più chiaro ma ora siamo in una fase di transito, di frontiera”, ancora difficile decifrare i fenomeni e trovare un linguaggio esplicativo. La glocalizzazione, ovvero il passaggio della globalizzazione in ambito locale, ha fatto sì che il problema identitario abbia coinvolto intere popolazioni. L’informazione assume allora un ruolo preponderante ma “è asimmetrica e asincrona: sai tutto ma non hai la capacità di discriminare le informazioni”. La globalizzazione determina il formarsi di ‘terre vulnerabili’ e ‘frontiere interne’, città nella città, “città mondo in cui è sempre più difficile distinguere tra qui e altrove”, secondo la definizione dell’etno-‘antropologo francese Marc Augè. Sottolinea Cianconi, “l’individuo può vivere psichicamente scisso dal posto dove abita, viene istruito globalmente”.

Indispensabile è riflettere sul rapporto tra globalizzazione urbana e salute mentale. Psichiatria e psicologia si rivelano ‘efficaci’ a intervenire nel caso di disturbi conclamati, ora sono chiamate in causa per affrontare problemi dilaganti quali, per citarne solo alcuni, aumento dell’ansia (il caso dei terremoti in Italia), urbanizzazione e disturbi di personalità; incremento di depressioni e suicidi (sindromi della crisi economica in Grecia, Italia, Irlanda), ricerca di soluzioni impulsive (gambling, danger seeking). A tutto ciò si oppone in ambito terapeutico un generico concetto di resilienza. Intanto la psichiatria e la psicoterapia vacillano: ci sono cose di cui non si era mai occupata e gli strumenti della monodisciplinarietà non valgono più: “oggi è impossibile non lavorare in maniera multidisciplinare”. Il meticciato è in corso anche tra ambiti del sapere prima distinti.

I concetti diagnostici di disturbo dell’adattamento e disturbo post traumatico da stress potrebbero non essere più sufficienti a descrivere certe patologie e la depressione potrebbe smettere di esser considerata una patologia per diventare una struttura mentale in dotazione al sapiens. Nella lotta tra invarianti e mutazioni, le trasformazioni in corso ci obbligano a cambiare paradigmi e secondo la definizione di Corrado Pontalti a considerare il paziente come “il nuovo Virgilio che ti porta in territori sconosciuti”. Così forse il terapeuta può ripercorrere i luoghi dove si sono persi o smarriti i codici d’identità individuali e collettivi. E al di là di questo specifico rapporto, ognuno può chiedersi dove abiti la mente abitando luoghi che oggi ci sono, domani forse no. Sottolinea ancora Cianconi: “Le prossime generazioni, e almeno alcune di quelle presenti, dovranno fare i conti con la resa del mondo che conoscevamo, mentre già emerge il nuovo sistema, e navigarci dentro.”
“Mentre i confini collassano, le cose si trasformano”.

Bibliografia: Paolo Cianconi, Addio ai confini del mondo. Per orientarsi nel caos postmoderno.
Franco Angeli Editore, (2012).