Con il termine gruppoanalisi non ci si riferisce soltanto ad una pratica analitica applicata ai gruppi, ma anche ad una prospettiva epistemologica che studia la mente in una dimensione multipersonale piuttosto che individuale. Contributi rilevanti alla teoresi gruppoanalitica sono stati forniti sia dal pensiero psicoanalitico di matrice relazionale (Mitchell, Ogden, Benjamin, Aron, Stolorow, Atwood), che differenziandosi da quello più tradizionale di matrice pulsionale ha focalizzato lo sviluppo psicologico del bambino a partire dalla relazione fondativa madre-bambino, sia dalla psichiatria sociale ed interpersonale (Sullivan, Laing, Main).
Acquisire una metodologia di lavoro gruppoanalitica nel setting terapeutico duale non vuol dire solo valutare ciò che accade nel paziente a partire da concetti quali mente multipersonale, gruppi interni, transpersonale, ma comprendere come, nel porre al centro la relazione, si è immersi in un campo mentale animato dalle proprie gruppalità e dinamiche interne che si intrecciano con quelle del paziente. In questa prospettiva diventano insufficienti ed inadeguati i tradizionali concetti di transfert e controtransfert, che appartengono ad una interpretazione più unidirezionale della relazione analitica.
Nelle più recenti elaborazioni si preferisce parlare invece di “campo contransferale” , mettendo in evidenza la presenza di fattori transferali non solo nel paziente, ma anche nell’analista , sottolineando così ciò che viene con-diviso dalla diade terapeutica, il campo mentale e operativo che comprende la relazione.
Il setting, quindi, può essere inteso come l’elemento che consente l’incontro tra analista e paziente in termini di area transizionale: da un lato la sua funzione di delimitare il campo entro cui avviene l’incontro analitico rimanda alla necessità della coppia terapeutica di rapportarsi ad una “terzità” percepibile, per molti aspetti, come dato oggettivo, dall’altro vine investito di significati, quali la matrice familiare, culturale ed ideologica di entrambi i componenti che non può essere considerata fuori dal processo analitico.
In tale prospettiva il setting si pone a cavallo tra ciò che è percepito oggettivamente e ciò che è soggettivo , permettendo in tal modo lo sviluppo di una area intermedia tra analista e paziente come area di gioco: “La psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme” (Winnicott, 1974).
In tal senso il setting non sarebbe qualcosa dato una volta per tutte, come in quel tipo di clinica psicoanalitica dove ci si rifugia nell’illusione dell’ obiettività e neutralità dell’analista, ma può subire delle modificazioni non solo a seconda dei diversi pazienti, ma anche con lo stesso paziente in momenti diversi della sua esperienza analitica.
A volte la difficoltà di concepire l’approccio gruppoanalitico nel setting duale viene addebitata alla “presunta ed incolmabile” dicotomia tra individuo e gruppo: il dato immediato dell’esperienza ci porta a considerare l’individuo come un’unità non divisibile, dove l’individualità biologica , data da una relativa unicità di caratteri fisiognomici di ciascun essere umano viene fatta coincidere con l’identità psichica.
Ma già in Freud vi è una indicazione precisa rispetto ad una diversa prospettiva di interpretazione dell’individualità psicologica: il concetto di “identificazione” propone di fatto come elemento costitutivo della psiche l’assumere aspetti, proprietà o attributi di altre persone, trasformando il soggetto totalmente o parzialmente sul modello di queste ultime; “La personalità si costituisce e si differenzia attraverso una serie di identificazioni” (Laplanche, Pontalis, 1967).
Considerare dunque la mente in termini multipersonali significa poter vedere anche il rapporto della coppia analitica come una relazione gruppale: le gruppalità interne di ciascun membro della diade vanno, infatti, ben al di là dei due individui che fisicamente la compongono.
E’ dunque inevitabile che a volte avvenga un “aggancio” tra analista e paziente per le risonanze immaginarie che entrano in gioco nella dimensione co-transferale; il problema, però, non è tanto nell’ “evitare” questi stati con-fusivi, quanto quello di attraversarli e coglierne il carattere fittizio, riconducendo l’attualità dell’ hic et nunc a quella storia di cui non si è stati protagonisti, anche se spesso la tentazione diventa quella di mettere subito ordine nelle scene che si animano dentro e fuori la coppia analitica secondo il vecchio registro medico-paziente.
Considerare allora lo spazio del setting come spazio transizionale implica una costante riflessione non solosui ruoli e bisogni del paziente e dell’analista, ma anche su quel “teatro” che costantemente viene riattivato dai personaggi fantasmatici di ognuno.
Bibliografia
Profita G. Ruvolo G. (1997), Variazioni sul setting, Raffaello Cortina Editore.