Lo stalking è una forma di aggressione psicologica e fisica finalizzata “a sopraffare la volontà della vittima, a fiaccare il morale e la capacità di resistenza attraverso uno stillicidio pressoché incessante, svolto in un unico contesto di un crescendo persecutorio, infiltrante come una goccia che a lungo andare scava la pietra”.
La vittima preferita del molestatore è la donna nella maggior parte dei casi. La maggioranza di questi comportamenti sono messi in atto da ex amanti tali o che si sono ritenuti tali nei confronti di donne che hanno interrotto o manifestato l’intenzione di i interrompere storie non più gradite e non condivise.
Gli autori sono soggetti non in grado di elaborare la ferita narcisistica loro inferta dal rifiuto più o meno esplicito, preceduto da un qualche tipi di incontro che quando interrotto scatena rabbia distruttiva.
Si tratta di persone che non si rassegnano al fatto di essere abbandonati o di non essere al centro dell’attenzione di una donna o che vivono in chiave persecutoria la fine di una storia sentimentale.
Talvolta i comportamenti pervasivi e intrusivi di caccia, sorveglianza, controllo e dominio, vengono mascherati e giustificati come ricerca di contatto e di comunicazione al fine di attenuare il rifiuto o la limitazione nel rapporto.
Lo stalking sembra implicare il seguire ossessivamente la vittima, in conformità con la definizione di “ossessivo” (DSM V) nel suo funzionamento al limite , ed è caratterizzato dal pensiero collegato all’oggetto: gli stalkers spesso hanno fantasie ossessive di amore, rabbia o vendetta nei confronti delle loro vittime. Molti stalkers ossessivi pensano e/o fantasticano costantemente sulle loro vittime. Queste fantasie possono essere orientate verso amore, rabbia o vendetta.
Il “sottofondo affettivo”, è solitamente la solitudine, la paura, quasi panico, di poter perdere l’oggetto d’amore, il desiderio maldestro di recuperare la relazione ed il bisogno di esercitare un controllo sulla vittima/amata.
Le angosce abbandoniche si intersecano a meccanismi improntati a desiderio di vendetta per il presunto torto o abbandono subito.
E’ altresì importante dal punto di vista psicologico osservare come lo stalker attui dei comportamenti molto simili a quelli messi in atto da chi soffre di dipendenza affettiva; è infatti intrusivo ed insistente, non regge la distanza, il rifiuto, necessita di “dosi di presenza” dell’altro sempre maggiori, nega la realtà perché troppo dolorosa e nega la mancanza d’amore.
Raramente, però, si mostrano violenti, e quando lo fanno il primo oggetto di violenza è la vittima dello stalking, il secondo è chiunque venga percepito come un ostacolo, un’interferenza tra loro e la vittima.
Lo stalker quindi attua una serie di condotte tali da limitare il normale svolgersi quotidiano della vita della vittima e che giungono a produrre lesioni consistenti e gravi dell’integrità psicofisica della persona (in alcuni casi sino all’uccisione della vittima). Pedinamenti, appostamenti nei luoghi frequentati dalla vittima, telefonate, biglietti, intrusioni nel fare quotidiano si ripetono nel tempo creando gravissimi stati di ansia e vero e proprio terrore nella vittima, fino a determinare una vera e propria paralisi che impedisce anche una corretta reazione nei confronti del persecutore.
L’elemento clinico determinante è quindi la “fissazione” sul suo ipotetico oggetto d’amore, che si tratti di una relazione reale, esistita in passato o esistita solo nel suo immaginario e fantasia.
Meloy (1998), studiando lo stalker, ha proposto un’interpretazione psicodinamica dei comportamenti di stalking incentrata sulla “patologia del narcisismo e dell’attaccamento”.
Lo stalker è un soggetto avente un “modello di attaccamento preoccupato”, caratterizzato dalla ricerca dell’approvazione dell’altro al fine di rafforzare la propria bassa e compromessa autostima.
Secondo Meloy, la prima tappa per l’organizzazione futura del comportamento disfunzionale è la creazione di una fantasia narcisistica di “legame speciale” con un oggetto idealizzato e/o superiore, basata su pensieri consci (di essere amato, di amare, di condividere il destino con una particolare persona).
Lo stalker inoltre, a causa del suo “narcisismo patologico”, è particolarmente sensibile-insensibile al rifiuto, ai sentimenti di vergogna e umiliazione che ne derivano. Per evitare queste emozioni intollerabili si difende con la rabbia e la svalutazione dell’oggetto d’amore.
La persecuzione, afferma Oliverio Ferraris (1999), diventa una continuazione della relazione, la cui perdita è percepita come troppo minacciosa e destabilizzante. Gli individui respinti sono i molestatori statisticamente più pericolosi, in quanto esiste la reale possibilità che lo stalking degeneri in atti di violenza fisica.
La vita della vittima può divenire particolarmente difficile: molte persone, per timore di ricevere nuove molestie, hanno paura di uscire di casa, non riescono a mantenere il proprio lavoro, non sono in grado di instaurare nuove relazioni e, quindi, sono incapaci di salvaguardare la propria quotidianità. Le ricerche dimostrano che non di rado, infatti, queste donne possono sviluppare veri e propri quadri psicopatologici, particolarmente rilevanti da un punto di vista clinico. Assai frequenti sono la riduzione della stima di sé, i sintomi ansioso-depressivi, i disturbi del sonno, i disturbi alimentari e i sintomi psicosomatici.
In alcuni casi, può essere addirittura formulata la diagnosi di disturbo da stress post-traumatico: tale quadro è tipico delle persone che si sono trovate a fronteggiare un evento particolarmente minaccioso per la propria incolumità fisica e per la propria stessa esistenza e si caratterizza per una sintomatologia molto invalidante (evitamento delle situazioni associate al trauma, elevata attivazione fisiologica, deflessione del tono dell’umore, flashback ecc.).