Il Disturbo Istrionico di personalità: Uno, Nessuno e Centomila

Seduttivo e affascinante, dedito a voler fare colpo sull’altro ponendosi sempre al centro dell’attenzione, manipolatore e fatuo: questo è l’istrione.
Si tratta di un abile attore che si cala nel ruolo della sua vita e recita una parte, fingendo di essere chi non è.
Una sola persona dai tanti volti o nessuno, come diceva Pirandello nel suo romanzo? In realtà è una e una sola persona che debutta sul palcoscenico della sua vita con tante maschere, una per ogni occasione. Recita quotidianamente e per questo non riesce ad uscire dal personaggio: è l’unico modo che conosce per ricevere consensi.

Il fulcro della sofferenza dell’istrionico è determinato dal profondo senso di indegnità, mancanza d’affetto, inadeguatezza a badare a se stesso.
Dietro alla maschera che indossa , c’è un dolore profondo, che cerca in ogni modo di arginare, per paura di soccombere o perché dietro esiste la vana convinzione che se scoprissero quello che è realmente, disprezzabile-non amabile, gli altri possano lasciarlo solo non prendendosi cura di lui.

E se il pubblico non ci fosse? Viene fuori per quello che è realmente, un depresso.

Non a caso, ogni manifestazione del pensiero e del proprio mondo emotivo è caricata oltre misura, ponendosi come potentissima difesa impiegata contro i vissuti depressivi, che il soggetto fa fatica a guardare e nei quali rischierebbe di restare pericolosamente impantanato: di contro, gli preferisce una variopinta maschera, con cui, fra recite costanti, si fa largo nel mondo, a copertura della parte più autentica di sé, che tuttavia è soggettivamente percepita come la più scomoda; essa è ritenuta indegna, perché associata all’area di fragilità dell’istrionico ed è pertanto potentemente occultata nel profondo al suo amato pubblico.

In questo mondo esterno trascorso godendo ed alimentandosi delle magiche luci della ribalta, a far da contraltare ci pensa invece un interiorità confusa, tutta immersa nel profondo buio dell’anima, probabilmente strutturatasi entro ambienti familiari scomposti e caotici, in cui a suo tempo i bisogni del bambino non trovarono il dovuto e adeguato riconoscimento e i rapporti, così impostati, si consolidarono nella storia evolutiva come superficiali e i bisogni subordinati all’apparire.

Da qui, la necessaria quanto vitale controtendenza degli istrionici ad esibirsi e a mettersi in mostra, così da poter salvare le apparenze e dirsi vivi, lasciando celata dietro a quello scudo di facciata un consistente e doloroso nucleo depressivo che da sempre faticano a fronteggiare.

Il bambino di quel nucleo familiare, quindi, non è stato preso sul serio; è sempre stato troppo piccolo, troppo stupido, troppo poco importante per rispondere alle domande, potrebbe essere rimproverato per qualcosa che subito dopo non costituisce più un problema. La conseguenza di questo atteggiamento è non essere in grado di pensare in maniera autonoma, perciò non essere capace di crescere.

L’istrionico non sa riflettere sui propri stati mentali e assumersi delle responsabilità, così individua come proprio il pensiero dell’altro. I genitori recitano una parte e il figlio si adegua, adottando gli stessi valori di conformismo, o recitando il copione opposto: il migliore appetibile, il ribelle, la pecora nera, sempre di recita si tratta! Il prezzo da pagare: l’inautenticità, l’estraneità da se stesso, la mancanza di identità. Presto impara che da solo non ce la fa e cerca qualcuno che possa accudirlo, previo il senso di colpa. Capisce che ciò che conta è la maschera che indossa, perché cela il vuoto dei sentimenti, la mancanza di verità, calore, riconoscimento.

Non sa bene chi è ed i confini sono labili, e quindi è condizionabile. Per questo gli è facile identificarsi e proiettarsi con il personaggio ideale voluto dal genitore. Un personaggio che deve primeggiare, essere ammirato, essere al centro. Dietro questa maschera è velata la rabbia di essere squalificato, ignorato, svalutato, non riconosciuto, abbandonato.

L’istrionico ama la sua immagine, e guarisce quando comincia ad amarsi, apprezzarsi come persona, abbandonando l’amore per il suo riflesso: deve vedersi per quello che è realmente incontrando e apprezzando la propria autenticità: il se stesso negletto e non apprezzato. Solo se impara ad amare il vero sé può amare l’altro, riconoscendolo come persona, nella sua individualità con le proprie caratteristiche e aspettative, al di là del ruolo di pubblico di cui è investito.