Negli ultimi decenni l’Infant research e la Developmental Psychopathology hanno messo in luce consistenti evidenze empiriche sull’associazione tra la qualità del sistema di caregiving e i fattori di protezione e di rischio nella psicopatologia dell’infanzia. La letteratura scientifica sulla psicopatologia materna (soprattutto depressione materna) e sulla sua possibile influenza per la comparsa di disturbi emotivi e comportamentali del bambino ha messo in luce che determinate caratteristiche sintomatiche del caregiver rappresentano un fattore di rischio rilevante per lo sviluppo nei primi anni di vita.
In questo campo, alcuni autori hanno ipotizzato “il meccanismo della trasmissione intergenerazionale”, in base al quale i disturbi precoci durante lo sviluppo – come i disturbi alimentari infantili – possono essere collegati alla presenza di uno status psicopatologico nel caregiver (Dodge, 1990; Zeanah, Zeanah, 1989). In particolare, la psicopatologia materna, come i disturbi affettivi e di personalità, possono interferire con le funzioni di caregiving e dar luogo a modalità relazionali imprevedibili e incoerenti nella comunicazione emotiva con il bambino, che si associano spesso a disturbi infantili nella regolazione fisiologica e nella stabilizzazione dei ritmi alimentari (Benoit, 2000; Carlson, Sroufe, 1995; Chatoor, 1989). Sfortunatamente, se da un lato l’incidenza della sintomatologia depressiva materna è stata largamente documentata, i meccanismi della trasmissione del disagio psicopatologico nei bambini sono stati esplorati mediante approcci diversi, a volte solo minimamente convergenti.
La depressione della madre, infatti, influenza direttamente sia la qualità dell’interazione con il bambino, sia il livello di funzionamento globale familiare, interagendo, a vari livelli, con numerosi fattori di rischio sociale. In aggiunta alla componente genetica della trasmissione del rischio psicopatologico, è necessario, quindi, considerare un ampio numero di fattori dell’ambiente di vita prossimale e distale del bambino con madre depressa, che possono, moderare o, al contrario, acuire la sua vulnerabilità nei confronti di successivi esiti disfunzionali o patologici.
Gli effetti negativi della depressione materna rilevati sul bambino includono: disturbi comportamentali con tendenza all’aggressività; problemi nell’ambito della regolazione affettiva; incompetenza sociale; disturbi ansiosi; deficit dell’attenzione; difficoltà temperamentali ; disorganizzazione emozionale; sintomatologia depressiva subclinica o disturbi depressivi veri e propri; modelli di attaccamento di tipo prevalentemente insicuro. Malgrado l’enorme quantità di dati scientifici, risulta estremamente complicato individuare il legame preciso tra i disturbi depressivi materni e gli esiti sul bambino, al fine di spiegare le dinamiche che intercorrono nel processo di trasmissione del rischio psicopatologico.I risultati dei numerosi studi condotti negli ultimi anni sulle implicazioni psicopatologiche del bambino con madre depressa hanno evidenziato numerosi rischi evolutivi.
Varie ricerche hanno messo in luce che i figli di madri depresse sono esposti al rischio di insorgenza psicopatologica in modo significativamente maggiore rispetto a quelli di genitori normali, manifestando, nello specifico, un’accentuata vulnerabilità nei confronti dei problemi comportamentali, delle malattie fisiche e dei sintomi di tipo depressivo (Weissman et al., 1984).In molte ricerche, è emerso che gli effetti della depressione materna variano in funzione dell’età e dello stadio di sviluppo del bambino (Zuckerman & Beardslee, 1987).Nei neonati è stato osservato uno scarso peso alla nascita, che correla positivamente con la bassa classe sociale della famiglia e la severità/cronicità del disordine emotivo materno. Nei bambini di 12 e 24 mesi, sono stati evidenziati disturbi sia della sfera emotiva – con difficoltà a regolare gli stati affettivi – sia cognitiva – con carenza del gioco simbolico.
Nell’età prescolare, sono stati rilevati bassi punteggi nel QI, disturbi del sonno e sintomi psicosomatici. Nell’età scolastica e durante l’adolescenza, si è evidenziata la presenza di un’elevata incidenza di depressione maggiore, deficit dell’attenzione, ansia da separazione, eccessiva rivalità con i pari ed i fratelli, comportamenti di impazienza, condotte devianti o di ritiro. Gelfand e Teti (1990) hanno rilevato, sia nell’infanzia che nell’età prescolare maggiori problemi nell’attaccamento, nella regolazione emozionale, nel controllo degli impulsi aggressivi, nella capacità di cooperare con gli altri ed uno sviluppo linguistico problematico o ritardato. Nei bambini in età scolare, sono stati evidenziati i seguenti quadri: bassa autostima; stili attributivi negativi simili a quelli delle proprie madri; maggiore propensione per i disturbi depressivi o di ansia; difficoltà intellettive e nel mantenere l’attenzione; scarso rendimento scolastico; accentuato rischio di insorgenza psichiatrica non di tipo depressivo, soprattutto nel caso di depressione materna bipolare. Le specifiche modalità attraverso le quali il disturbo depressivo materno influisce sulla risposta evolutiva infantile sono quindi ancor oggi oggetto di svariate e controverse impostazioni teoriche.